Malattia è una parola che fa paura: è l’opposto della salute, di quello che l’OMS definisce «stato di completo benessere psichico, fisico e sociale dell’essere umano dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale».
Malattia e disabilità è un binomio che fa ancora più paura perché per molte persone risuona come qualcosa che non funziona, un difetto, qualcosa che rischia di farci sentire escluse/i.
Eppure, quando guardiamo veramente all’essenza di queste due parole, quando le spogliamo di tutti i pregiudizi che solitamente le accompagnano, scopriamo che sono due parole che hanno il potere di cambiare in positivo (sì, avete letto bene, ho scritto proprio positivo) la nostra percezione dell’emicrania e anche la percezione che hanno le persone che ci circondano.
Riflettiamoci un attimo: nel momento in cui una legge ha riconosciuto la cefalea cronica come malattia sociale, le persone che ne soffrono hanno tirato un primo sospiro di sollievo e hanno pensato «Finalmente, era ora!».
Per anni è stato difficile associare il concetto di malattia e disabilità alla cefalea perché la divulgazione scientifica è stata pressoché assente e anche perché ogni giorno in TV sentiamo pubblicità che ci dicono che bastano 5 minuti e una pastiglia per far passare il dolore.
Io stessa, dopo il mio ricovero per disintossicazione, mi sono chiesta «Perché hai capito così tardi che la tua emicrania è una malattia invalidante?» e la risposta che mi sono data è che per anni ho fatto fatica ad accettarla perché non avevo sufficienti informazioni e, di conseguenza, non riuscivo nemmeno a parlarne per paura dei pregiudizi.
Quando ho iniziato a scrivere per il blog, la domanda che mi sono sentita fare più spesso anche dagli amici che mi conoscono da sempre è stata «Ma davvero tu stai così male e soffri in questo modo?». Chiamarla malattia e parlarne apertamente l’ha resa reale agli occhi degli altri e ha permesso a me stessa di imparare ad accettarla.
Cefalea: una malattia in cerca di “dignità”
Carie dentale (2.301.999), cefalea di tipo tensivo (2.300.200) ed emicrania (1.247.608): ecco il podio delle malattie più diffuse del genere umano secondo l’OMS. Leggendo questi numeri viene piuttosto spontaneo chiedersi: come mai la cefalea (nelle sue forme croniche) è stata riconosciuta come malattia soltanto nel 2020?
Siamo di fronte a una malattia invisibile (almeno in apparenza) del cervello, l’organo umano in assoluto più complesso e difficile da studiare e comprendere, che per lungo tempo è stata orfana di una classificazione chiara e soprattutto di rimedi farmacologici che le dessero la dignità di malattia.
Voi direte: «Cosa c’entrano i farmaci con il riconoscimento della malattia?».
Ce lo spiega Barbanti portandoci come esempio un’altra malattia invisibile: «La fobia sociale oggi è classificata tra i disturbi di ansia, ma un tempo non era diagnosticata e spesso era travisata per una forma estrema di timidezza.
Quando è stata sdoganata tra le malattie?
Dopo il 1986 cioè dopo l’uscita nelle farmacie di mezzo mondo del Prozac che ha consentito di curare la depressione e di dare dignità di malattia a un disturbo meno evidente ma non per questo meno disabilitante come la fobia sociale».
Questa è la stessa sorte che è toccata alla cefalea.
Emicrania: una malattia neurologica invalidante
L’emicrania è un eccesso di legittima difesa, un dannatissimo grillo parlante che ci logora avvertendoci come una comare di tutto ciò che varia nell’ambiente e in noi.
Piero Barbanti
L’emicrania è una cefalea primaria, ossia una patologia neurologica benigna che colpisce solo l’essere umano e coinvolge la corteccia prefrontale, sede della sua intelligenza. È una condizione genetica complessa causata da molteplici variazioni genetiche che rendono il cervello iperattivo e ipersensibile.
Quando il cervello emicranico è esposto ad alcuni fattori scatenanti che per altre persone sono totalmente innocui (ad esempio stress, alcuni profumi e odori, variazioni delle ore di sonno, variazioni climatiche e ambientali) va in stato di allarme e converte in dolore stimoli sensoriali che tipicamente non sono dolorosi.
Ipersemplificando: durante l’attacco emicranico i vasi delle meningi si dilatano e la repentina e continua dilatazione scatena un’infiammazione e il tipico dolore pulsante. L’attacco dura dalle 4 alle 72 ore e può essere preceduto dall’aura (disturbi visivi, afasia e intorpidimento di viso e arti) e accompagnato da nausea, vomito, fotofobia, fonofobia e allodinia.
I sintomi accompagnatori e la durata delle crisi sarebbero già sufficienti per chiarire perché l’emicrania è una patologia invalidante che condiziona la socialità, le relazioni familiari, l’attività lavorativa e lo studio; qualora non bastasse, possiamo anche ricordare che:
- una volta passato il dolore bisogna fare i conti con la fase prodromica, ossia gli strascichi dell’attacco – stanchezza, debolezza e tono dell’umore basso – che possono durare anche alcuni giorni;
- i farmaci sintomatici utilizzati per gestire il dolore (FANS e triptani) e quelli di profilassi possono causare vari effetti indesiderati con conseguenze negative sulla qualità della vita, come ad esempio la cefalea cronica da abuso di farmarci analgesici.
Se ci fossero ancora dubbi, l’OMS sull’emicrania parla chiaro e, infatti, la colloca
- al 1° posto come causa di disabilità sotto i 50 anni
- al 2° posto nella classifica delle 10 malattie con il maggior numero di anni vissuti da malati
e sottolinea che un giorno vissuto con emicrania equivale a un giorno vissuto con demenza, tetraplegia e psicosi acuta.
Malattia non è sinonimo di vergogna!
Desidero chiudere questo articolo ricordando a tutte le persone che soffrono di qualsiasi forma di cefalea che malattia non è sinonimo di vergogna; la cefalea è scritta nel nostro DNA, è un nostro tratto biologico, non l’abbiamo scelta e ogni giorno lottiamo per vivere la nostra quotidianità nel miglior modo possibile, senza soccombere al dolore.
La condivisione delle nostre esperienze è uno strumento davvero potente per creare la cultura della malattia e per aiutare tutte le persone che soffrono di cefalea e che come noi hanno bisogno di sentirsi accolte e comprese.
Siamo Migraine Warrior, non dimentichiamolo mai!
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