Avevo circa 4 anni quando ho iniziato a soffrire di emicrania, era quindi il 1987.
Ho ricordi molto netti di cosa significava fare i conti con quel dolore, pur essendo soltanto una bambina totalmente inconsapevole di cosa mi stesse succedendo.
A 7 anni (nel 1990) ho messo il mio primo paio di occhiali. Sono lievemente astigmatica, ma nemmeno il mio occhio sinistro un pochino rimbambito è mai stato responsabile dei miei mal di testa.
A 12 anni (nel 1995) ero una studentessa delle scuole medie seduta al mio banco con un dolore lancinante alla testa e vicino a me c’era il mio compagno Daniele. Suona la campanella, mi alzo dalla sedia, barcollo, finisco addosso a lui (che mi guarda e giustamente dice «Che cavolo fai?!») e svengo in classe. Tornata a casa, mi visita il medico di famiglia che, dopo varie valutazioni, esclude una meningite e rimango a letto tutto il pomeriggio dopo aver preso un antidolorifico (uno dei tanti che avrei preso negli anni).
A 17 anni (nel 2000), mentre frequentavo il liceo scientifico, ho fatto la conoscenza dell’emicrania con aura. La prima volta mentre ero dall’estetista, poi pochi giorni dopo in metropolitana a Roma, mentre ero in gita con la mia classe. Di corsa in albergo, prendo l’Aulin e primo giorno nella città che amo di più al mondo finisce così. Il medico di famiglia mi spedisce a fare TAC ed elettroencefalogramma all’ospedale di Aosta. Risultato: nella mia testa non c’è nulla (a parte qualche neurone 🤣 ) e sempre il medico di base mi prescrive la mia prima terapia di profilassi, la flunarizina che prendo per qualche tempo senza grande successo (e senza nemmeno sapere, in realtà, a cosa servisse).
Ne avevo, invece, 23 di anni la prima volta che ho messo piede in un centro cefalee, quello di Modena per la precisione. Era il 2006, ma anche in quel momento non ero per nulla consapevole della malattia con cui convivevo ormai da anni: avevo davanti un neurologo che mi parlava di abuso di farmaci e di ricovero per disintossicazione senza, però, spiegarmi nel dettaglio di cosa si stesse parlando. Me ne sono andata a casa con la prescrizione per una radiografia al rachide cervicale («Ha il collo molto rigido signorina», ma pensa un po’), per i triptani e per la mia seconda terapia di profilassi con betabloccanti.
Qualche anno dopo, nel 2011, finisco al centro cefalee di Parma. Altra visita, altro giro, stavolta con antiepilettici e nuovo triptano. Gli antiepilettici finiscono nel WC dopo meno di un mese, quando hanno iniziato a farmi venire la tachicardia e a farmi perdere la memoria.
Poi arrivano i test per le intolleranze alimentari, le manipolazioni da vari osteopati, l’agopuntura, lo shiatsu, il bite di notte (che ora dorme triste e solo sul mio comodino nella sua custodia da anni), l’ernia cervicale (e le protrusioni) che mi ha obbligata a smettere di ballare e l’infiltrazione che mi ha fatto passare il mal di schiena e l’epicondilite (che ogni tanto torna a farmi visita), ma non l’emicrania perché l’ernia con l’emicrania non c’entrava una beata mazza (scusate la schiettezza).
Il resto è scritto tutto qui, in questo blog che è stato lo strumento attraverso il quale ho preso consapevolezza della malattia di cui soffro da quando sono bambina: dal ricovero a Pavia agli anticorpi monoclonali, passando per mesi pessimi all’insegna di emicrania pressoché quotidiana e terapia a base di magnesio (e mal di stomaco) e antidepressivi triciclici che, quando mi svegliavo al mattino, mi facevano sentire come se non avessi le gambe e il controllo delle mie parole, impedendomi di guidare e di lavorare… io che con le parole lavoro ogni giorno.
Dopo aver letto questo riassunto della mia storia di paziente emicranica, ditemi un po’, non assomiglia incredibilmente alla vostra? Se non del tutto, almeno in parte? E vi sembrerà così familiare perché questo è il percorso che molte persone che soffrono di una forma di cefalea primaria fanno per arrivare a una diagnosi.
Vista, sinusite, cervicale: scagioniamo i presunti colpevoli dell’emicrania
Oculista, dentista e osteopata/fisioterapista sono figure che molte persone che soffrono di emicrania hanno incontrato nel loro percorso terapeutico, un dato che mi è stato confermato dal sondaggio che ho fatto nei giorni scorsi sui social:
- 202 persone hanno dichiarato di aver fatto una visita dall’oculista convinte che l’emicrania potesse dipendere da un problema alla vista;
- 191 persone hanno dichiarato di aver fatto una visita dal dentista convinte che l’emicrania potesse dipendere da un problema di malocclusione dentale;
- 188 persone hanno dichiarato di essere andate da osteopati/fisioterapisti convinte che l’emicrania potesse dipendere da problemi alla cervicale.
Questi dati non sono frutto di una pura coincidenza; è una situazione tipica di un percorso diagnostico che lavora per esclusione e che vuole scartare patologie che potrebbero manifestarsi con sintomi in apparenza simili a quelli dell’emicrania. Vediamo, però, perché in realtà si tratta di equivoci (così li definisce Barbanti).
È colpa della vista
Non è un caso che la prima visita che ho fatto a 7 anni dopo un forte attacco di emicrania è stata quella dall’oculista: come spiega Barbanti, la sede del dolore emicranico (intorno agli occhi) può in qualche modo trarre in inganno e farci pensare che un problema alla vista sia la causa del mal di testa.
Esiste una forma di cefalea causata da errori rifrattivi, ma le sue caratteristiche sono le seguenti:
- presenza di errori refrattivi non corretti o mal corretti in uno o in entrambi gli occhi;
- il rapporto causa-effetto tra errore rifrattivo e dolore è confermato da almeno due tra i seguenti punti:
- la cefalea è comparsa o è peggiorata in modo significativo in stretto rapporto temporale con la comparsa o il peggioramento del disturbo rifrattivo;
- la cefalea è migliorata in modo significativo dopo la correzione del problema rifrattivo;
- la cefalea è aggravata da compiti visivi prolungati svolti con angolazioni o a distanze alle quali la capacità visiva risulta compromessa;
- la cefalea migliora significativamente quando cessa lo sforzo visivo.
È colpa della sinusite
L’emicrania l’ho ereditata da mio papà che per praticamente tutta la sua vita non ha mai ricevuto una diagnosi ufficiale da un/una neurologo/a. Ricordo, però, in modo piuttosto nitido che periodicamente il suo medico di famiglia gli prescriveva una pomata da mettere nel naso per contrastare questo mal di testa che poteva essere causato da una possibile sinusite.
Anche in questo caso, a trarre in inganno è la localizzazione del dolore nella zona sovraorbitaria e il fatto che la regione sopracciliare può risultare dolorante alla pressione. Questi due elementi sono tipici dell’emicrania perché è proprio in quella zona che c’è il nervo sovraorbitario, sempre sveglio e molto sensibile nelle persone emicraniche.
Le forme di cefalea da rinosinusite possono essere confermate (o escluse, dipende dal punto di vista) tramite radiografie o risonanze magnetiche che evidenziano in modo inequivocabile la presenza di velature sui seni paranasali o inspessimento della loro mucosa.
È colpa della cervicale
Vari studi condotti su soggetti emicranici hanno evidenziato che nel 40% dei casi il dolore emicranico coinvolge o parte dal collo.
È questo dolore, accompagnato da contratture molto fastidiose, a trarre in inganno e a far pensare che eventuali anomalie al rachide cervicale siano responsabili degli attacchi di cefalea. In realtà, nei soggetti emicranici il dolore al collo è conseguenza diretta dell’infiammazione del sistema trigemino-cervicale.
La cefalea cervicogenica, ossia quella effettivamente causata da problemi al collo, ha, invece, le seguenti caratteristiche:
- dimostrazione clinica o radiologica della presenza di un disturbo o di una lesione al rachide cervicale o ai tessuti del collo che possano essere causa del mal di testa;
- il rapporto causa-effetto tra la lesione e il dolore è confermato da almeno due tra i seguenti punti:
- la cefalea si è sviluppata in stretto rapporto temporale con la comparsa della lesione o del disturbo cervicale;
- la cefalea si è risolta risolvendo il problema al rachide cervicale;
- la mobilità del collo è ridotta e provoca peggioramento della cefalea;
- la cefalea scompare grazie al blocco analgesico delle strutture cervicali.
Come si diagnostica l’emicrania?
Prima di parlare del come si arriva alla diagnosi di emicrania, partiamo da chi ha le competenze per arrivare a questa diagnosi: il/la neurologo/a.
Attenzione, questo non significa che è sbagliato andare dal pediatra o dal medico di famiglia, è il primo riferimento che abbiamo e, personalmente, la prima terapia di profilassi e il primo triptano mi sono stati prescritti proprio dal medico di famiglia.
È importante, però, non sottovalutare l’evoluzione della malattia: se la cefalea peggiora nel tempo e inizia a non essere più episodica, se i sintomi si fanno sempre più invalidanti, se si iniziano ad assumere troppi farmaci analgesici di ogni genere (perché nel tempo molti diventano inefficaci) con il rischio di arrivare anche a una cefalea da rimbalzo, una visita presso un centro cefalee o un/a neurologo/a specializzato/a in cefalee è assolutamente necessaria.
E il/la neurologo/a cosa farà durante la visita? Innanzitutto, tante domande 😁
Vorrà sapere l’età di esordio, l’evoluzione nel tempo (le variazioni in termini di frequenza degli attacchi e intensità del dolore) e le situazioni concomitanti a queste variazioni, la tipologia di dolore, la sua localizzazione e la sua durata, l’orario di insorgenza, i sintomi, i fattori scatenanti e le eventuali terapie sintomatiche e/o di profilassi assunte.
Per rispondere a tutte queste domande sappiate che sarà fondamentale il diario della cefalea perché è grazie al diario che lo/la specialista sarà in grado di individuare alcuni pattern tipici della malattia e i vostri trigger specifici. Se prima della visita non avete mai tenuto un diario dell’emicrania, vi verrà chiesto di farlo. È uno strumento diagnostico necessario.
Una volta terminato il terzo grado, si passa all’esame fisico e neurologico: lo/la specialista analizzerà i vostri occhi e i vostri riflessi per individuare eventuali anomalie a carico dei nervi; vi sarà chiesto di fare determinati movimenti con le braccia e con le gambe per valutare la forza e la coordinazione; sarà testata la vostra sensibilità al tatto in varie parti del corpo per verificare che non ci siano problemi di perdita di sensibilità. Tutto questo iter serve anche per escludere che la cefalea sia causata da altre malattie.
Quando è necessario fare esami strumentali?
Lo so che appena avrete finito di leggere il paragrafo precedente la prima cosa che vi siete chiesti/e è: «Mi stai dicendo che, quindi, non devo fare TAC, risonanze, radiografie o esami del sangue?». La risposta è: dipende.
Chi soffre di emicrania ha una necessità viscerale, radicata nel profondo, che è una tappa inevitabile del difficile percorso di accettazione della malattia: sapere da dove viene il nostro mal di testa. È una risposta che spesso cerchiamo ossessivamente, per anni e anni, perché non riusciamo a rassegnarci all’idea che questa malattia che ci rende la vita un inferno non ha cause organiche o funzionali e che sia incurabile.
Ecco perché, in molti casi, prima di andare al centro cefalee o anche dopo esserci andate (e aver ricevuto una diagnosi di cefalea primaria) tante persone emicraniche entrano nel loop oculista-dentista-osteopata-fisioterapista-chiropratico-agopuntore-allergologo e aggiungete tutti gli specialisti vari che avete consultato nel vostro percorso.
Non è sbagliato cercare attraverso un approccio multidisciplinare strategie che ci permettano di gestire il dolore e di migliorare la qualità della vita, ma è importante evitare esami strumentali non necessari alla ricerca incessante di una causa dell’emicrania diversa dalla sua natura neurologica.
Gli esami strumentali sono necessari quando:
- ci sono sintomi che fanno sospettare una cefalea secondaria, ad esempio: la cefalea insorge all’improvviso in un soggetto che non l’ha mai avuta nella sua vita; la cefalea esordisce dopo i 50 anni; oltre al dolore, sono presenti febbre o convulsioni; la cefalea è comparsa dopo un trauma, si caratterizza per un dolore che ha raggiunto l’intensità massima in meno di 5 minuti o insorge solo in determinate posizioni, con la tosse o gli starnuti.
- ci sono sintomi comuni alle cefalee primarie e secondarie che non permettono una diagnosi netta;
- il quadro clinico del soggetto emicranico si modifica e compaiono alcuni segnali di allarme tipici delle cefalee secondarie.
Solitamente, gli esami strumentali che vengono prescritti sono i seguenti:
- TAC e/o risonanza magnetica (con o senza liquido di contrasto) utilizzate per escludere tumori, emorragie cerebrali, ictus o lesioni tipiche della sclerosi multipla;
- esami del sangue per escludere infezioni o problemi del sistema cardiovascolare;
- analisi del liquido cerebrospinale per individuare infezioni o altre tipologie di patologie tumorali.
Choosing Wisely, le linee guida per evitare esami strumentali inutili
Nel 2013 la Società Americana delle cefalee ha dato vita all’iniziativa Choosing Wisely (letteralmente: scegliere con saggezza) con l’obiettivo di guidare medici e pazienti in un percorso diagnostico-terapeutico consapevole per evitare esami strumentali e terapie inutili.
Dai sondaggi condotti negli USA è, infatti, emerso che i motivi per cui i medici prescrivono esami diagnostici per le cefalee, anche quando il quadro clinico non è equivoco, sono:
- preoccupazione per negligenza (52%)
- solo per essere sicuro (36%)
- desiderio di avere più informazioni per sentirsi sicuro (30%)
- insistenza del paziente (38%)
- volontà di soddisfare il paziente (23%)
- l’idea che il paziente debba prendere la decisione finale (13%)
- hanno poco tempo da dedicare al paziente (13%)
- disponibilità di una nuova tecnologia da testare (5%)
Dato che la maggior parte delle cefalee, per quanto dolorose e invalidanti, è riconducibile a disturbi del funzionamento (tipici delle cefalee primarie) e non a disturbi a carico della struttura del cervello (tipici delle cefalee secondarie) le linee guida di Choosing Wisely dichiarano che «quando una persona cefalalgica presenta un mal di testa stabile che risponde ai criteri diagnostici dell’emicrania, tutti gli esami che studiano la struttura cerebrale (TAC e risonanza magnetica) sono inutili e devono essere evitati».
Molti/e di voi hanno già partecipato al sondaggio sui social, ma se avete piacere di condividere qualche dettaglio in più sul vostro percorso di diagnosi, scrivetemi (leparoledellemicrania@gmail.com) oppure commentate il post.
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